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Alle radici del Cammino di Santiago di Compostela

Per secoli le uniche testimonianze che riguardano l’Apostolo attengono il suo culto: Isidoro di Siviglia (+636) e nella seconda metà del secolo VIII dal presbitero Beato di Liébana nei suoi celebri Commentari all’Apocalisse. Questo è il primo documento a citare la venuta di Santiago in Spagna, ben prima della scoperta della sua tomba a Finisterre.
Nell’inno “O Dei Verbum”, composto proprio da Isidoro di Siviglia, emergono i “Figli del Tuono”, Giovanni e Giacomo il Maggiore, la cui madre sollecitò per loro i primi posti nel regno ed entrambi stavano ai lati di Cristo nell’Ultima Cena. Il primo con il capo appoggiato sul suo petto. Entrambi hanno avuto il premio del cielo. Il secondo mediante il martirio, fino alla decapitazione.
Nel IX Secolo storia e leggenda si mescolano assieme: il nord della Spagna appartiene al regno cristiano delle Asturie, che include la Galizia e la frangia cantabrica, con capitale Oviedo e sovrano è il re Alfonso II, detto il Casto (791-842). Il resto della Spagna è sotto la dominazione araba.
La tradizione dice che un eremita di nome Pelagio (uomo del mare) che viveva in un luogo chiamato Solovio (attualmente sede della chiesa di San Fiz de Solovio, nell’attuale Santiago de Compostela), osservò durante numerose notti, nel bosco di Libredón, delle luci nel cielo, simili a stelle cadenti, che rischiaravano un punto preciso del bosco (anno 813), dove si trovò la tomba di San Giacomo. Una luce illuminava il luogo dove rinvennero, lui e il vescovo Teodomiro, il sepolcro del Santo.
La rotta del Cammino di Santiago è impressa da sempre nella volta celeste ed è nota col nome di Via Lattea e il cammino che porta alla città di Santiago è detto “cammino delle Stelle”.
Teodomiro avvisò immediatamente il re Alfonso II, che giunse rapidamente da Oviedo per visitare il luogo e constatare il miracoloso ritrovamento. Del ritrovamento furono informati anche il papa Leone III, l’imperatore Carlo Magno e gli altri principi cristiani. Il re delle Asturie Alfonso II il Casto fece innalzare una prima modesta basilica, segno della venerazione di cui il potere laico voleva circondare il corpo dell’Apostolo. Alfonso III il Grande (866-912) la ricostruì in marmo e trasferì a Compostela il seggio episcopale, confidando nel cristianesimo come elemento unificatore contro l’Islam, e considerando che le reliquie dell’Apostolo avrebbero costituito un poderoso strumento politico e religioso che avrebbe rafforzato la chiesa asturico-galaica nei confronti degli attacchi arabi e dell’espansionismo carolingio.
I re cristiani del nord della Spagna vedevano nell’apostolo come Giacomo il simbolo dell’unità cristiana contro i musulmani; gli ordini religiosi e in particolare Cluny, hanno messo a disposizione del pellegrinaggio la loro influenza e una parte delle loro immense risorse. Santiago simboleggia la reconquista della Spagna sui mori: croce contro mezzaluna, Cristo contro Maometto.
La città di Compostella risultò nel x secolo insieme a Cordova la città simbolo della “guerra santa” e della reconquista. Il 10 agosto del 997 l’esercito moro guidato dal generale arabo Al-Manzor saccheggia e distrugge totalmente la capitale della Galizia, radendo al suolo anche la seconda basilica fatta edificare da Alfonso III. Al-Manzor incendiò completamente la città, ma non osò distruggere la tomba dell’Apostolo, forse per rispetto alla meta del pellegrinaggio che anche nella religione araba riveste un ruolo sacro particolarmente importante. Si porta via come trofeo le campane e le porte della Chiesa che, a spalle dei cristiani fatti schiavi, vengono trasferite a Cordova per servire come lampade nella sontuosa moschea califfale.
Nel 1236 campane e porte ritorneranno trionfalmente a Compostella quando il re Fernando III di Castiglia riuscirà a conquistare Cordova: più di duemila prigionieri mori catturati nella presa della città le riporteranno scalzi e ricolme d’acqua nella Cattedrale di Santiago. Prima di questo episodio è da ricordare come già dal 1075 con il Vescovo Diego Pelàez era iniziata la ricostruzione di quella che poi sarà l’attuale basilica, sostenuto nell’impresa dal re Alfonso VI di Castiglia e Leon. Dieci anni più tardi il vescovo Pelaez cadde in disgrazia, i lavori proseguirono a rilento fino alla elezione di Diego Gelmirez.
Sotto la sua guida Compostella diventò sede arcivescovile (anno 1120 con la bolla Omnipotentis dispositione di Papa Callisto II), egli costruì l’imponente palazzo vescovile (che ancora oggi ammiriamo a fianco della cattedrale) e portò avanti con energia la costruzione della chiesa.
Nel 1168 Ferdinando II di Leon affidò l’incarico al suo giovane architetto conosciuto con il nome di Maestro Matèo il quale nel 1188 portò a termine il portale centrale:il portico di Mateo rappresenta uno dei capolavori dell’arte mondiale. Il triplice portale trova un precedente illustre nelle grandi cattedrali come Chartres, e presenta un richiamo allo stile “bizantineggiante” che ricorda Venezia, Palermo e Cefalù. La facciata del Portico della Gloria presenta una struttura architettonica a tre piani sovrapposti, in cui si impiegarono per la prima volta in Spagna volte a doppia crociera.
Nel Medio Evo, i principali promotori delle peregrinazioni furono i monaci del potente ordine di Cluny. I pellegrinaggi partivano da tutti i punti d’Europa, incluso l’Oriente, ma fu nell’XI secolo, quando i re Sancho il Maggiore di Navarra e Alfonso VI di León tracciarono il Cammino Francese, che il fenomeno del pellegrinaggio assunse grandi proporzioni.
Il tracciato del cammino fu disegnato a partire dalle antiche vie romane che univano i differenti punti della penisola. Il percorso fu dotato, di fronte all’impressionante afflusso di gente, di ostelli, ospedali e cimiteri; si crearono ponti, si eressero chiese, monasteri e abbazie e vennero fondati lungo la rotta un’infinità di piccoli paesi, che costituiscono un’eredità storica ed artistica di immenso valore.
In quello stesso secolo, un prete francese, Aymeric Picaud, divulgò un libro chiamato Codex Calixtinus (così chiamato in quanto il testo si riteneva attribuibile al papa spagnolo Callisto II, ma è assai dubbio che egli ne fosse l’autore), in cui viene descritto il cammino francese e si forniscono un’infinità di consigli per percorrerlo.
La Guida era stata redatta tra 1130 e 1135 dall’ambiente religioso cluniacense. Questo testo detto anche Liber Sancti Jacobi è composto da cinque libri: le prime quattro parti celebravano le gesta dell’apostolo Giacomo il Maggiore; la quinta rappresentava una guida, che pur essendo e volendo rimanere una guida spirituale intendeva rappresentare anche un itinerario. Ne veniva disegnato il percorso entro cui le tappe di avvicinamento, che contemplano visite a importantissimi santuari, rappresentano i passi di un processo di purificazione il cui culmine è la visita a Santiago.
Durante il Medio Evo le peregrinazioni a Santiago ricevettero un impulso decisivo quando il papa Callisto II istituì l’Anno Santo Jacobeo (1122) ed il suo successore, Alessandro III, attraverso la Bolla Regis Aeternis, concesse la grazia del Giubileo (Indulgenza Plenaria) a chi visitasse il tempio compostellano negli anni in cui il 25 di luglio (festa di Santiago) cadesse di domenica.
Nel XIV secolo inizia un profondo declino delle peregrinazioni, causato da una serie di catastrofi (soprattutto la peste nera), ed anche a causa di numerose guerre in cui venne coinvolto il continente europeo.
La decadenza del pellegrinaggio si accentuò nel XVI secolo: vale come esempio la vigorosa requisitoria pronunciata da Lutero il 25 luglio 1522 contro il pellegrinaggio a Santiago, dove, a suo dire, non esiste alcuna prova certa dell’esistenza della tomba dell’apostolo. Egli si dichiara ostile al lungo viaggio, che assimila a un atto di idolatria, e, pur intessendo un panegirico del santo, condanna energicamente questa forma di culto.
L’irruzione del protestantesimo e le guerre di religione che sconvolsero l’Europa determinarono un progressivo disinteresse verso l’istituzione del pellegrinaggio. Causa l’occultamento dei resti dell’Apostolo durante quasi 300 anni, per evitare che cadessero nelle mani dei pirati inglesi guidati da sir Francis Drake creò confusione perché non furono chiare le circostanze di questo occultamento parziale o totale delle reliquie dell’Apostolo.
La confusione che si creò andò di pari passo con il declino del pellegrinaggio a danno della stessa devozione a Santiago tanto che nel seicento si arriva a mettere in discussione persino il ruolo di Patrono di Spagna da sempre assegnato a san Giacomo per sostituirlo con Santa Teresa d’Avila o San Michele.
Successivamente Illuminismo e Rivoluzione francese assesteranno al mondo religioso legato al pellegrinaggio e al culto delle reliquie un colpo ancora più forte di quello della Riforma protestante.
Il minimo storico dei pellegrinaggi si toccò nel XIX secolo, tant’è che il 25 luglio del 1867 c’erano solo quaranta pellegrini nella città di Compostela.
Grazie all’impegno del cardinale Miguel de Payà y Rico viene effettuata una campagna di scavi sotto l’altare maggiore della Cattedrale e scoperte le reliquie a suo tempo occultate per paura di Drake nel XVI secolo.
Una speciale Commissione Pontificia studiò i resti ritrovati e attraverso una indagine scientifica e anche empirica poté garantire l’autenticità. Nel 1884 il papa Leone XIII, con la Bolla “Deus Omnipotens”, confermava l’autenticità dei resti dell’Apostolo che erano stati recuperati e questo evento fece rinascere le peregrinazioni. Durante il Novecento diversi tentativi di promozione del pellegrinaggio, trovano grandi difficoltà (prima guerra mondiale, guerra civile spagnola, seconda guerra mondiale): ma è in questo periodo che una studiosa francese, Madame Vielliard, copia e traduce per la prima volta il Codex Calixtinus.
A guerra finita, e più precisamente con l’Anno Santo del 1948, grazie all’impegno inarrestabile del cardinale Quiroga Palacios, arcivescovo compostellano di grandi qualità spirituali e organizzative, il pellegrinaggio a Santiago vive una rinascita.
Gli anni Cinquanta e Sessanta vedeono sorgere centinaia di associazioni culturali, religiose di promozione e riscoperta del cammino, percorso a piedi o in bicicletta.
Storiografia e letteratura (studi storici e resoconti di pellegrinaggi) ma anche il cinema (la Via Lattea di Luis Bunuel, capolavoro sul Camino anche se con forti accentuazioni anticattoliche del geniale ed irrequieto regista) daranno il loro contributo alla crescita dell’interesse europeo verso Santiago, come anche la recuperata democrazia in Spagna alla morte del “caudillo” Franco (1975).
Fra i primi che contribuirono alla grande ripresa merita una menzione il sacerdote Elias Valina, curato del Cebreiro, per aver dedicato al Cammino importanti studi di ampio respiro storico e spirituale, anche se molti lo ricordano quasi esclusivamente per aver “inventato” la famosa freccia gialla, “la flecha amarilla”, con la quale ha segnato muri, cippi, cartelli, alberi e pali, strade, sentieri, viottoli, campi e città per indicare la rotta verso Compostella.
Oggi, in un rinnovato fervore spirituale, migliaia di persone raggiungono Santiago ripercorrendo le antiche vie, ricevendo ospitalità negli ospizi e nelle chiese disseminate lungo il percorso che nel 1987 il Consiglio d’Europa ha proclamato “Primo Itinerario Culturale d’Europa” e nell’anno 1993 gli è stato concesso dall’UNESCO il titolo di “Patrimonio Culturale dell’Umanità”.
Lo stesso Papa Giovanni Paolo II nel 1982 consegnò alla città un memorabile discorso sulle radici cristiane dell’Europa: «Per questo, io, Giovanni Paolo, figlio della Nazione polacca, che si è sempre considerata europea, per le sue origini, tradizioni, cultura e rapporti vitali, slava tra i latini e latina tra gli slavi; io, successore di Pietro nella Sede di Roma, Sede che Cristo volle collocare in Europa e che l’Europa ama per il suo sforzo nella diffusione del Cristianesimo in tutto il mondo; io, Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale, da Santiago, grido con amore a te, antica Europa: “Ritrova te stessa. Sii te stessa”. Riscopri le tue origini. Ravviva le tue radici. Torna a vivere dei valori autentici che hanno reso gloriosa la tua storia e benefica la tua presenza negli altri continenti. Ricostruisci la tua unità spirituale, in un clima di pieno rispetto verso le altre religioni e le genuine libertà. Rendi a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio. Non inorgoglirti delle tue conquiste fino a dimenticare le loro possibili conseguenze negative; non deprimerti per la perdita quantitativa della tua grandezza nel mondo o per le crisi sociali e culturali che ti percorrono. Tu puoi essere ancora faro di civiltà e stimolo di progresso per il mondo. Gli altri continenti guardano a te e da te si attendono la risposta che san Giacomo diede a Cristo: “Lo posso”».
Nel 1989 a Santiago si svolse una delle famose Giornate Mondiali della Gioventù: da allora sempre più numerosi sono i giovani e non che dalla vecchia Europa e dagli altri continenti si muovono, come gli antichi pellegrini, verso la città dell’Apostolo. Durante quell’incontro oltre alla veglia notturna e alla S. Messa sul Monte do Gozo particolarmente coinvolgente fu la preghiera recitata nella basilica compostellana dal Papa dopo il gesto dell’abrazo, l’abbraccio all’Apostolo che ogni pellegrino compie al termine del suo pellegrinaggio a suggellare l’intima comunione e confidenza con Santiago l’amico del Signore.
Questi due eventi con protagonista il Papa “venuto da un paese lontano” hanno sicuramente incrementato il valore del pellegrinaggio: è in particolare il pellegrinaggio a piedi a rivivere una una stagione particolarmente feconda, dato il significato religioso e penitenziale dello stesso, recuperando quei valori dello spirito, della capacità di riflessione ed interiorizzazione della fede che un percorso non legato ai ritmi frenetici e spesso alienanti della nostra era, sa ancora conservare intatti e nuovi per l’uomo contemporaneo.
Oggi si può parlare di un “fenomeno Santiago” e non si conosce nessun altro itinerario che come questo catturi l’immaginazione di migliaia di viaggiatori e pellegrini che ogni anno a piedi, in bicicletta o a cavallo muovono verso questo estremo lembo del vecchio continente per andare ad onorare la memoria e la tomba di un umile pescatore di Galilea, discepolo e Apostolo del Signore, lì arrivato per annunciare il messaggio religioso più sconvolgente e straordinario che il mondo abbia conosciuto: il Vangelo.
Il pellegrinaggio a Santiago offre anche un valore aggiunto, nel senso che è anche un cammino attraverso la storia, la civiltà, l’esperienza artistica e religiosa; tale pellegrinaggio, anche per un ateo, è un’esperienza che lascia un segno profondo.
Il grande Papa Giovanni Paolo II nel messaggio d’inizio dell’Anno Santo jacobeo del 2004, il primo del terzo millennio del cristianesimo, ha scritto: “il Cammino di Santiago non può dimenticare la sua dimensione spirituale. Il fenomeno jacobeo non può alterare la propria identità a causa dei fattori culturali, economici e politici che porta con sé. Nei secoli, l’essenza del pellegrinaggio a Santiago de Compostella, è stata la conversione al Dio vivente attraverso l’incontro con Gesù Cristo. Il pellegrinaggio, dunque, nonostante il suo rigore e la sua fatica, è un gioioso annuncio di fede, un cammino personale di testimonianza sull’esempio del “Figlio del Tuono”, l’Apostolo Giacomo, amico del Signore”.
Il pellegrino sa cosa si è lasciato alle spalle e dove è diretto e farà sempre nuove scoperte lungo il Cammino. La conchiglia è simbolo del pellegrinaggio a Compostella, perché ne riassume i temi: da un’unica origine partono le linee della “vieira” e tutte si riconducono allo stesso punto. Rappresenta che da Dio siamo generati e, ciascuno per la sua strada, a Lui torniamo. La conchiglia ricorda anche il battesimo.
Il pellegrinaggio è nato come forma penitenziale, per ridonare a chi è “lontano” l’innocenza delle origini. Il segno della “concha” è anche il simbolo del cuore. Tutte le esperienze che si vivono durante il cammino della vita devono esservi custodite, poiché Dio si rivela nella storia di ognuno ed è lì che propriamente desidera essere cercato. Il cammino di Santiago alla fine rapprsenta la vita umana. Ogni uomo è, per essenza, “viator”, pellegrino, creato da Dio e liberato per mezzo di Cristo.
La spiritualità del Cammino jacobeo coincide con la spiritualità biblica. Il credente è colui che esce dalla sua terra, nasce di nuovo, abbandona le sue sicurezze e i suoi limiti, le sue “Sodoma e Gomorra” e senza voltarsi indietro comincia il suo itinerario verso la meta: il cammino di Santiago suscita e invita a pensare che l’uomo non è l’unico signore né della storia né della natura. Il viandante è colui che scopre il Creatore e sa di essere immagine di Dio.
Il cammino di Santiago è stato sempre un invito ad andare più in là, “ultreya”: dal Monte della Gioia, guardando verso Santiago i pellegrini sanno che la gioia di aver raggiunto una meta non appaga la convinzione che l’uomo deve continuare a camminare, che si è appena all’inizio. Il pellegrino dopo essere stato presso la tomba di S. Giacomo, si dirigeva a contemplare la grandezza dell’Oceano, e toccava con le sue mani, simbolicamente, il “Finisterrae”, il mondo allora conosciuto.
Tuttavia il pellegrino nell’incontro con se stesso e con l’Assoluto, nel cammino, mai si trova solo. Il cammino del pellegrino ha un Pedagogo. Per il viandante del cammino di Santiago il Pedagogo è Cristo. Per chi crede, per avvicinarsi a Dio non c’è che un cammino, Gesù Cristo, l’Immagine del Padre, l’icona di Dio (Col 1,15), il Verbo fatto carne (Gv 1,14). Egli è Via, Verità, Vita (Gv 14,6).
Il cammino che Gesù propone ai suoi discepoli va nel senso contrario a quello della sua incarnazione: innalza, divinizza l’uomo facendolo partecipe del dinamismo della sua morte e risurrezione e della sua stessa vita (2Pt 1,4). Chi non si considera pellegrino, difficilmente potrà sentirsi cristiano, discepolo di un pellegrino e membro di un popolo che cammina verso Dio. E’ così anche per la Chiesa, popolo pellegrinante per eccellenza che dal deserto dell’Esodo verso la Gerusalemme celeste “prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio” (LG 8).
Nella cattedrale di Santiago di Compostella ogni domenica e al termine di ogni solennità viene fatto oscillare il “botafumeiro”, il grande incensiere d’argento di 80 Kg. che viene fatto oscillare spettacolarmente da un estremo all’altro della navata a crociera. Questo rituale spettacolare rappresenta bene il culmine del “camino de Santiago”, la trasfigurazione del pellegrino, che qui giunto purificato da giorni e giorni di fatica, solitudine e preghiera, riconciliato con il sacramento della penitenza, dopo aver preso parte alla mensa del Signore nel banchetto eucaristico può innalzare il suo ringraziamento con la solenne incensazione.
Il fumo dell’incenso rappresenta il movimento ascendente della preghiera, evoca l’antica offerta dei sacrifici; il pellegrinaggio non si conclude a Compostella, ma permane per sempre nel cuore di chi l’ha intrapreso; è il desiderio profondo di seguire un Pellegrino chiamato Gesù di Nazareth.
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